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L´uso concomitante della cosa per finalità private ed istituzionali non integra gli estremi del delitto di peculato, qualora da esso non derivi un apprezzabile nocumento economico o funzionale per l'amministrazione, dovendosi escludere che, in simili ipotesi, si realizzi l'interversione del possesso della cosa

Angela Micheletti

Con la pronuncia in commento la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato avverso la sentenza della Corte di Appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, che aveva condannato l’imputato per i delitti di peculato d’uso e di arbitraria utilizzazione a fine di profitto di prestazioni lavorative di personale dell’Amministrazione della pubblica sicurezza in contrasto con i compiti di istituto, ai sensi dell’art. 314, secondo comma, c.p. e dell’art. 78 legge 1° aprile 1981, n. 121, riformando la sentenza del Tribunale di Bolzano, che aveva, invece, assolto l’imputato, ritenendo tali reati insussistenti.

Nello specifico, le condotte poste in essere dall’imputato, nella sua qualità di funzionario della Polizia di Stato, con il ruolo di dirigente del Compartimento di polizia stradale del Trentino-Alto Adige, erano consistite nell’essersi avvalso in modo sistematico di autovetture di servizio e di dipendenti del medesimo Corpo con funzioni di autisti, per i trasferimenti tra la sua abitazione, situata a Trento, e l’ufficio presso il quale prestava servizio, ubicato a Bolzano. Tali condotte erano, dunque, state ricondotte alla fattispecie del peculato d’uso (art. 314, secondo comma, c.p.), che punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che si appropria di una cosa mobile altrui, di cui ha il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, al solo scopo di farne un uso momentaneo, dopo il quale la stessa viene immediatamente restituita, e alla fattispecie dell’arbitraria utilizzazione di prestazioni lavorative (art. 78 legge 1° aprile 1981, n. 121, recante “Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”), che punisce il pubblico ufficiale che utilizza arbitrariamente le prestazioni lavorative di personale dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, in contrasto con i compiti di istituto, al fine di realizzare un profitto proprio o di altri.

Nel ricorso è stato eccepito: il mancato assolvimento dell’onere di motivazione c.d. “rafforzata”, gravante sul giudice d’appello che riforma una sentenza assolutoria, con riferimento all’esclusione della natura istituzionale degli incontri dell’imputato con i dirigenti degli uffici situati a Trento; nonché in punto di elemento oggettivo e di elemento soggettivo dei reati; il vizio di motivazione della sentenza in punto di offensività delle condotte; il quantum della confisca disposta ex art. 322-ter, c.p., stimata dalla sentenza impugnata in 2.490,18 euro.

Con riguardo agli incontri tenuti dall’imputato, nell’attesa di essere prelevato o al ritorno nella propria abitazione, con i responsabili degli uffici situati nel medesimo edificio, la difesa ha rilevato che la libertà di organizzazione del lavoro riconosciuta a un dirigente superiore della Polizia di Stato dal D.Lgs. n. 334/2000, modificato dal D.Lgs. n. 95/2017, non consente di negare la loro natura istituzionale sulla base di profili quali la non preventiva convocazione, la breve durata o il loro svolgimento al di fuori di sedi ufficiali.

Relativamente all’elemento oggettivo, la difesa ha riportato le seguenti circostanze di fatto dalle quali evincere l’assenza della condotta di appropriazione: le automobili erano destinate in via esclusiva alle esigenze del comandante del Compartimento e non erano mai state distolte dalla loro destinazione istituzionale; gli autisti avevano ricevuto specifici ordini di servizio e i viaggi erano documentati dai registri delle vetture; la funzione di “autista del comandante” preesisteva all’insediamento dell’imputato, che, durante il tragitto, indossava sempre la divisa; la scelta del reo di risiedere nell’alloggio di Trento, che era una foresteria dell’Amministrazione, era stata determinata dall’indisponibilità dell’appartamento di Bolzano, al quale lo stesso avrebbe avuto diritto.

Con riferimento all’elemento soggettivo, la difesa ha precisato che il decreto di archiviazione della denuncia per truffa, sporta nei confronti dell’imputato per non aver comunicato all’amministrazione di appartenenza il carattere gratuito dell’alloggio di Trento, messo a disposizione dalla “Autostrada del Brennero” s.p.a. e le relative indennità ottenute e il provvedimento emesso dalla Corte dei Conti nell’ambito del procedimento per danno erariale, avevano escluso la natura dolosa della condotta, deponendo, peraltro, in tal senso, comportamenti sintomatici della convinzione della legittimità del proprio agire, quali: il rispetto delle disposizioni di servizio previste per l’utilizzo dei veicoli, l’assenza dell’uso degli stessi al di fuori della tratta Trento-Bolzano e l’istituzione dell’apposito registro per uno di essi.

Con riguardo all’offensività delle condotte, la difesa ha evidenziato l’assenza di un concreto pregiudizio per la funzionalità dell’ufficio o di un danno economico per l’ente pubblico, non essendo le autovetture state distolte dalla loro destinazione, avendo le stesse percorso soltanto le tratte autostradali di competenza del Compartimento, sulla base di specifici ordini di servizio. Inoltre, una delle due automobili, una “Hyundai”, non era di proprietà dell’amministrazione, bensì della “Autostrada del Brennero” s.p.a., che sosteneva, dunque, tutte le spese. Con riguardo al quantum della confisca la difesa ha, pertanto, precisato che l’unico eventuale danno economico sarebbe quello derivante dalle spese relative all’altra autovettura, una “Alfa Romeo”, da quantificare nella cifra di 608,78 euro.

Appare, a questo punto, necessario analizzare gli elementi costitutivi della fattispecie di peculato, che condivide alcuni elementi essenziali con quella che viene in esame, ossia il peculato d’uso. Giova, innanzitutto, precisare che l’introduzione del peculato d’uso (ex art. 314, secondo comma, c.p.), da intendere quale autonoma fattispecie di reato, è avvenuta ad opera del legislatore della riforma del 1990, al fine di colmare i sussistenti vuoti di tutela e di dosare il trattamento sanzionatorio in virtù del minore disvalore del fatto. Il legislatore della riforma ha, altresì, introdotto due ulteriori novità, espungendo dalla fattispecie di peculato la condotta di distrazione e abrogando la fattispecie di malversazione a danno di privati (ex art. 315 c.p.), che è confluita in quella di peculato.

Il peculato è un reato proprio, potendo essere commesso solo da chi riveste la qualifica di pubblico ufficiale (ex art. 357 c.p.) o di incaricato di pubblico servizio (ex art. 358 c.p.). La condotta consiste nell’appropriazione, da ravvisarsi nel comportamento di chi fa propria una cosa altrui, mutandone il possesso, ponendo in essere atti non compatibili con il titolo per cui si possiede e agendo nei confronti della stessa quale proprietario, determinando così un’interversio possessionis. L’oggetto materiale della condotta è il denaro altrui, da intendere quale carta moneta e moneta metallica avente corso legale, o la cosa mobile altrui, da intendere quale entità materiale suscettibile di essere trasportata da un luogo a un altro, dotata di valore economico o quantomeno economicamente valutabile, nel cui novero rientra anche l’energia (ex art. 624 cpv. c.p.). Il concetto di altruità implica la non sussistenza del diritto di proprietà o di altro diritto reale o di obbligazione in capo al reo, che gli attribuisca una disponibilità della cosa che lo legittimi a porre in essere l’atto appropriativo. Della res oggetto della condotta, l’autore deve, però, avere il possesso per ragioni di ufficio o di servizio o comunque la disponibilità, ossia l’agente deve avere la disponibilità materiale o giuridica della cosa, intesa quale potere autonomo funzionalmente destinato all’esercizio dell’ufficio o servizio, con l’obbligo di restituzione o di rispetto della destinazione. Il dolo nel peculato è generico, il momento della consumazione è quello in cui si verifica l’appropriazione ed è ammissibile il tentativo.

Nel peculato d’uso, invece, poiché la condotta di appropriazione sembra di per sé richiedere la volontà di acquisizione definitiva della cosa, la stessa, essendo momentanea, appare più simile al concetto di distrazione, cioè di un uso della cosa in difformità dagli scopi istituzionali e il dolo è specifico, caratterizzato dallo scopo di usare momentaneamente la cosa.

Nel caso in esame, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato, ritenendo che la condotta dell’imputato non abbia integrato i reati a lui addebitati, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, revocando le statuizioni in materia di confisca e disponendo la restituzione dei beni. Nello specifico, l’agente, pur avendo utilizzato l’autovettura di servizio e i relativi autisti, grazie alla collocazione della propria abitazione nel medesimo edificio dove erano situati gli uffici soggetti alla sua direzione, aveva potuto esercitare le proprie funzioni istituzionali presso questi ultimi senza la necessità di recarvisi appositamente, non essendo perciò derivati all’amministrazione né un danno economico né un nocumento funzionale consistente.

Nel merito, la Suprema Corte ha ritenuto indiscusso il tenore della disciplina extrapenale di riferimento, costituita dall’art. 3 del D.P.C.M. 25 settembre 2014, recante “Determinazione del numero massimo e delle modalità di utilizzo delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone”, che prevede che l’utilizzo delle autovetture di servizio sia consentito solo per singoli spostamenti per ragioni di servizio, e incontroverso il fatto nel senso, rappresentato dai difensori dell’imputato, che gli incontri di quest’ultimo con i dirigenti degli uffici alle sue dirette dipendenze costituissero esplicazione della sua attività istituzionale.

A tal proposito, la Corte ha richiamato la teoria della natura plurioffensiva del delitto di peculato, essendo il bene giuridico tutelato rappresentato sia dal patrimonio della pubblica amministrazione, sia dal buon andamento e dall’imparzialità del suo operato (ex art. 97 Cost.), risultando dunque la fattispecie integrata, qualora questi ultimi interessi siano lesi, anche in assenza di un danno patrimoniale. La Corte di cassazione ha, dunque, precisato che “Si tratta di una lettura non scevra da critiche in dottrina … ma che merita di essere condivisa, poiché il nucleo di disvalore del peculato dev’essere ravvisato nell’abuso, da parte del pubblico funzionario, del possesso della cosa in ragione del suo ruolo: nello sfruttamento, cioè, di quest'ultimo, e della disponibilità della cosa che esso gli garantisce, per destinare la stessa al profitto proprio od altrui e distoglierla dal suo scopo istituzionale. Il che può ben accadere anche in assenza di un pregiudizio economico per l'ente pubblico, come nel caso in cui il bene sia di proprietà di un privato e sia utilizzato dall’amministrazione a titolo gratuito, oppure appartenga a quest’ultima ma l'utilizzo indebito non determini per la stessa un aggravio di spesa ….

In conclusione, con la sentenza in commento, la Sesta Sezione penale della Corte di cassazione ha ritenuto che l’uso concomitante, per finalità private e istituzionali, della cosa della quale il pubblico funzionario abbia la disponibilità per ragione del suo ruolo, non costituisca peculato, qualora da esso non derivi un apprezzabile pregiudizio economico o funzionale per l’amministrazione, in quanto deve escludersi che in tali casi si realizzi l’interversione del possesso della cosa, nella quale risiede il nucleo offensivo del reato.

Argomento: Dei delitti contro la pubblica amministrazione
Sezione: Sezione Semplice

(Cass. Pen., Sez. VI, 28 ottobre 2024, n. 39546)

Stralcio a cura di Vincenzo Nigro

“(…) Il tenore della disciplina extrapenale di riferimento è indiscusso. L'art. 3, d.P.C.M. 25 settembre 2014 ("Determinazione del numero massimo e delle modalità di utilizzo delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone") (…) stabilisce che "l'utilizzo delle autovetture di servizio a uso non esclusivo a disposizione di ciascuna amministrazione inserita nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione (...) è consentito solo per singoli spostamenti per ragioni di servizio, che non comprendono lo spostamento tra abitazione e luogo di lavoro in relazione al normale orario di ufficio" (comma 1); ed aggiunge, al successivo comma 2, che "è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui al comma 1 di (…) concedere l'uso delle autovetture di servizio (...) con modalità che ne consentano l'uso per finalità diverse da quelle previste al comma 1 del presente articolo". Ed è pure incontroverso, in fatto: che all'imputato non fosse stato messo a disposizione l'alloggio dell'amministrazione che gli spettava in ragione del suo incarico; che quello da lui utilizzato fosse ubicato nel medesimo edificio in cui avevano sede gli uffici della polizia stradale costituenti articolazione del compartimento da lui diretto; che l'autovettura di servizio e gli autisti di volta in volta addetti alla stessa non siano stati mai da lui utilizzati per finalità non istituzionali diverse dall'accompagnamento da tale abitazione alla sede del suo ufficio e viceversa; che, nell'attesa di essere prelevato dall'abitazione e/o al ritorno presso la stessa, egli soleva incontrarsi con i responsabili degli uffici situati nel medesimo edificio, trattando tematiche organizzative o comunque inerenti all'attività degli stessi. Non vi può esser dubbio, dunque, sul fatto che gli incontri dell'imputato con i dirigenti di quegli uffici alle sue dirette dipendenze costituissero esplicazione della sua attività istituzionale, non potendo ragionevolmente escludersi che la maggiore o minore brevità degli stessi o la loro estemporaneità fossero determinate proprio dalla sua quotidiana frequentazione personale di quei luoghi e di quei collaboratori, che escludeva la necessità di una loro programmazione e di una maggiore durata od articolazione. Così definito il perimetro normativo e di fatto della vicenda in esame, il tema sul quale è [continua ..]

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